Aggressività deriva dal termine latino aggredior che significa cammino in avanti, vado verso, verso gli altri, verso la vita, verso la realizzazione di sé. È forza vitale e positiva, promuove il movimento del bambino verso l’autonomia, l’esplorazione e sin dalla nascita rappresenta il mettersi in relazione con qualcuno e qualcosa.
D.W.Winnicott, pediatra e psicanalista infantile, scriveva che
l’aggressività fa parte dell’espressione primitiva dell’amore, ed è legata all’oralità del bambino, all’esperienza sia fisica che mentale della fame, al piacere, al nutrimento ed alla sua insoddisfazione, che genera frustrazione, rabbia e ostilità, e desiderio di distruggere proprio l’oggetto di desiderio e di amore
L’aggressività è quindi una pulsione sana e funzionale ai bisogni di crescita del bambino che deve essere educata, perché se l’aggressività è mal gestita, può diventare energia distruttiva per sé e per gli altri.
Nell’educazione del bambino è importante sia trasmettere l’esistenza di un’aggressività che nutre e distrugge, che insegnare al bambino a gestire sia il piacere che la frustrazione che derivano dalle esperienze quotidiane nei rapporti con gli altri, con i propri desideri, con il cibo, ecc…
L’aggressività è un impulso da educare
perché senza una buona gestione il bambino tende istintivamente ad esplosioni di rabbia indirizzando tale energia verso se stesso o verso gli altri. Di conseguenza, in momenti di crisi o di opposizione, tale comportamento potrebbe innescare la tendenza a farsi del male (come sbattere la testa contro il muro o sbattersi oggetti addosso) non avendo interiorizzato il concetto di pericolo e di limite.
E’ importante sapere che prima di potere incanalare le tendenze aggressive il bambino deve imparare a riconoscerle dentro di sé. Fondamentale è iniziare a “dare un nome” ed un significato alle azioni che il bambino mette in atto, trasformandole prima in emozioni, poi in sentimenti ed intenzioni.
La trasformazione, dall’azione al pensiero, è fondamentale perché consente al bambino di accettarla come parte di sé e di conseguenza di controllarla come fa già per ciò che conosce. Questa elaborazione mentale avviene già in modo molto semplice nei bambini, attraverso il gioco ed il sogno per esempio, poiché permettono di rappresentare ad un livello simbolico i piccoli conflitti interiori. Ma è sopratutto nella quotidianità con il fondamentale supporto dei genitore ed eventualmente del contesto educativo che il bambino impara a controllare gli impulsi e le reazione emotive.
Nei bambini l’aggressività è una modalità comunicativa e di crescita che si trasforma ed evolve in relazione alle tappe evolutive dello sviluppo del bambino e pertanto deve essere valutata in relazione alla sua età, ad ogni modo è sempre collegata ad una richiesta di attenzione e di ascolto.
L’aggressività in base all’età
L’aggressività a un anno, che generalmente si manifesta con pianti, urla, morsi, graffi ed oggetti tirati, è una modalità specifica sia di reagire alle frustrazioni che di dare spazio alla tendenza esplorativa che caratterizza l’età.
Intorno ai due-tre anni, invece, il bambino impara a dire sempre “no” e anche questo rappresenta un suo modo di crescere che gli permette di distinguere l’io dal tu e di far valere la sua volontà. Gli scatti di rabbia, pianti urla proseguono quasi ad ogni età ma più crescono e più con questi atteggiamenti aggressivi verificano l’effetto che queste azioni suscitano sulle persone e l’ambiente che circondano il bambino.
È sempre utile che un genitore intervenga in modo fermo e deciso quando il bambino comincia a superare certi limiti mettendo in pericolo la sua sicurezza fisica e quella degli altri. Oltre ad intervenire con autorevolezza è importante anche analizzare il comportamento aggressivo del bambino, cioè provare a capire se l’aggressività segnala un disagio più profondo difficile da esprimere con le parole.
Bisogna anche considerare che l’aggressività nei bambini può anche essere una “risposta” ad atteggiamenti aggressivi e di rabbia messi in atto proprio dagli stessi genitori.
Come gestire l’aggressività nei bambini
Ci sono diversi strumenti che un genitori può utilizzare per essere di aiuto e di sostegno al proprio figlio:
- attraverso il gioco libero e con l’ausilio di bambole, peluche, costruzioni con i personaggi, case delle bambole ecc.. (giochi con la presenza di personaggi che possono prendere vita) i genitori possono dare la parola a questi giochi facendoli parlare ed arrabbiare;
- attraverso il proprio corpo il bambino può imparare ad esprimere e scaricare la sua rabbia (dicendogli di sbattere forte i piedi a terra quando è arrabbiato per esempio);
- la narrazione di favole dove un personaggio affronta situazioni simili a quelle che il bambino vive e dove il personaggio trova la soluzione;
- il contenimento fisico, cioè quando il bambino si arrabbia perché gli viene negato qualcosa, oltre alla spiegazione del perché gli è stato negato, stringerlo a se e dicendogli di provare a rilassarsi con il sostegno sia fisico che emotivo della mamma o del babbo.
L’aggressività eccessiva intesa come incapacità di tollerare le minime frustrazioni reagendo in maniera incontrollata influisce negativamente sullo sviluppo affettivo e sociale del bambino. Nella maggior parte dei casi il bambino apprendo un comportamento in base a ciò che gli viene insegnato al momento delle sue prime “bizze”, ai suoi attacchi di rabbia, ostilità o di gelosia. Non è un compito semplice ed è molto delicato perché se tali reazioni vengono represse come se fossero un qualcosa di “catastrofico” o gestite con uno “scapaccione”, o al contrario ignorate come se non avessero importanza, certamente causano nel bambino confusione e smarrimento piuttosto che aiutarlo a comprendere come valutare e gestire i propri impulsi.
L’aggressività è energia, quindi se presente in eccesso e mal gestita, ha buone probabilità di diventare “patologica” in età evolutiva, favorendo la strutturazione di particolari disturbi come ad esempio l’iperattività o i comportamenti oppositivo-provocatori.
Consiglio finale
Il consiglio è sempre di imparare a conoscere i propri figli, aiutarli ad esprimere le proprie emozioni anche quelle negative, saperle condividere insieme ed imparare ad esprimerle. Eventualmente chiedere un supporto anche alle figure educative che si occupano di lui, come le educatrici del nido, la coordinatrice pedagogica, le insegnanti e anche gli allenatori sportivi per cercare di fare un lavoro di rete e trovare un sostegno.