Mio figlio non vuole più mangiare quello che gli preparo. Perché? Alla scoperta della neofobia

Dal confronto quotidiano con le mamme che hanno da poco svezzato i loro bambini, spesso notiamo che i loro racconti sono accomunati da un denominatore comune: l’entusiasmo nel constatare che il loro piccolo è curioso ed entusiasta di provare sapori diversi, che è propenso a sperimentare, che affronta il momento dei pasti con una disposizione d’animo assolutamente positiva.

Addirittura, riportano in molte, il piccolo si rivela inaspettatamente ghiotto di verdura e di molti alimenti che nessuna di loro si sarebbe mai aspettata potessero apparire tra le proposte quotidiane in tavola ed essere accettate così facilmente.

Eppure, questo entusiasmo, altrettanto spesso intorno alla fine del primo anno di vita del bambino, subisce una brusca battuta d’arresto: il neonato esploratore cede il posto a un bambino non solo dai gusti abitudinari, ma particolarmente diffidente a lasciarsi convincere a sperimentare le novità.

Se i “no” da parte dei più piccoli possono apparire immotivati, in realtà rappresentano una fase di crescita che va gestita e affrontata in tutta serenità: questo atteggiamento di “rifiuto” può avere diverse cause, ma dovrebbe risolversi spontaneamente con il tempo fino a scomparire definitivamente nel corso dell’infanzia.

Quando il nuovo fa paura: la neofobia alimentare nei bambini

La “neofobia alimentare”, (dal greco νέος, nuovo, e φόβος, paura), ovvero la ritrosia a sperimentare nuovi cibi, è una caratteristica degli animali onnivori, compreso l’essere umano ed è nata come necessità, come un meccanismo di protezione e conservazione della specie che risale all’età primitiva, quando il bambino camminando da solo correva il rischio di ingerire erroneamente bacche o altri cibi molto pericolosi per la sua sopravvivenza.

La specie umana per centinaia di migliaia di anni ha vissuto immersa nella natura: la nascita di villaggi e città è una novità piuttosto “recente” nella storia dell’evoluzione della specie, così come un’alimentazione proveniente da agricoltura e allevamento del bestiame.

Nel corso della giornata, quando le mamme si allontanavano per procacciare il cibo per tutta la famiglia, i piccoli di due o tre anni rimanevano all’interno dei villaggi ad attendere il loro ritorno: immaginare quali conseguenze avrebbe potuto causare l’ingestione di bacche velenose non è difficile e proprio per questo nel corso dell’evoluzione è stato “selezionato” un comportamento che ha inibito l’attitudine esplorativa dei bambini,  riducendo drasticamente la possibilità di ingerire cibi freschi e colorati, spostando la scelta su cibi chiari e dalla consistenza solida. Se in tempi antichi questa “diffidenza” è stata preziosa per la sopravvivenza di molti bambini, ai giorni nostri, quando controllo e sicurezza rendono i nostri cibi “sicuri”, restringe la gamma delle loro scelte alimentari.

Si rivela importante quindi giocare d’anticipo, attraverso un’esperienza precoce ai “sapori” dell’alimentazione dapprima materna, percepiti mediante il liquido amniotico in gravidanza, continuando con l’allattamento e completando l’esplorazione durante la fase dello svezzamento.

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Le scelte alimentari dei nostri bambini dipendono anche da noi

I ricercatori che hanno studiato e approfondito questo comportamento, hanno dimostrato che è influenzato al 75% dalla genetica al 25% dal contesto in cui vive il bambino e dall’esempio quotidiano proveniente dai suoi affetti.

L’impatto dell’influenza sociale sulle scelte alimentari gioca un ruolo determinante: i piccoli sviluppano i loro comportamenti prendendo come esempio modelli di riferimento e il cibo non fa eccezione. In uno studio di Harper, L. and Sanders, K. (1975) “The effects of adults eating on young children’s acceptance of unfamiliar foods. Journal of Experimental Child Psychology 20, 206–214” è stato dimostrato che i bambini piccoli avevano molta più fiducia a provare un nuovo cibo se prima l’avevano visto assaggiare dalla mamma.

Le difficoltà nel convincere il piccolo spiazzano spesso i genitori che piuttosto che ricevere rifiuti continui preferiscono o ripiegare sui cibi noti, limitando così le sue possibilità di scelta e creando possibili problemi nello sviluppo di un corretto comportamento alimentare, oppure ricorrere ad atteggiamenti coercitivi che non solo si rivelano più deleteri che altro, ma che trasformano il momento dei pasti in un’inutile “lotta quotidiana”: è importante invece adottare comportamenti in grado di dare l’esempio. Il Parental-Control Style gioca quindi un ruolo fondamentale nello sviluppo di un corretto comportamento alimentare.

Se è vero quindi che una parte dei comportamenti di resistenza e rifiuto dei piccoli fanno parte di “istinti” innati, è altrettanto vero che con il buon esempio quotidiano mamme e papà possono fare molto per abituarli a una corretta alimentazione. Un corretto comportamento alimentare passa sicuramente attraverso l’acquisizione da parte dei genitori delle informazioni necessarie per garantire la salute dei bambini. Proprio per questo è nata Nutripedia, Nutripedia – Informati per crescere” un nuovo percorso di informazione ed educazione alla corretta nutrizione di mamma e bambino durante la gravidanza e i primi anni di vita: un primo, importante passo verso la nascita di un movimento per intercettare le “fake news” e contribuire ad un’informazione corretta, al servizio delle famiglie.

I genitori sono costantemente alla ricerca di risposte ai loro dubbi, si confrontano certamente con gli esperti ma molto spesso anche e fra loro e in rete, dove spesso si imbattono in informazioni non corrette dal punto di vista scientifico. Per questo la campagna Nutripedia unisce le forze di mamme, papà e medici per individuare, smascherare e isolare le informazioni confuse e scorrette, supportando mamme e papà nella ricerca di informazioni utili nella vita quotidiana insieme ai loro bambini.

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L’importanza dell’alimentazione nelle diverse fasi della crescita

La nutrizione nelle prime età della vita può influenzare non solo la crescita corporea del bambino, ma anche il suo sviluppo e le future capacità intellettuali.

Secondo gli esperti di Nutripedia, (https://www.nutripedia.it/i-primi-mille-giorni/)

è ormai noto, infatti, che i diversi nutrienti non sono solo fondamentali per garantire la crescita dell’individuo, ma hanno un ruolo funzionale, ossia possono contribuire positivamente al benessere della persona: nutrirsi e nutrire in modo adeguato vuol dire porre le basi per prevenire possibili patologie o, in alcuni casi, modularne l’andamento. I nutrienti agiscono anche sui geni, modulandoli con un conseguente effetto sulla salute futura dell’individuo.

Uno stile alimentare corretto in termini di qualità e di quantità consente di prevenire patologie a oggi sempre più comuni (responsabili di 38 milioni di decessi all’anno https://www.nutripedia.it/i-primi-mille-giorni/) come le “non-communicable diseases (NCDs) (malattie non trasmissibili)”: queste patologie, secondo il WHO (World Health Organization), comprendono malattie cardiovascolari (come infarto del miocardio, ictus), cancro, malattie respiratorie croniche (come asma e malattie polmonari ostruttive) e diabete.

Diventa davvero importante, quindi, che i bambini abbiano un’alimentazione sana e variata, adeguata alle diverse fasi della crescita.

Il bambino, guidato da genitori consapevoli, esplora e scopre la ricchezza del patrimonio alimentare, si avvicina a nuovi gusti, forme, consistenze e colori.

Il rifiuto di assaggiare cibi nuovi dipende soprattutto dal fatto che il bambino è restio a modificare quelle routine che gli danno un senso di sicurezza: è un comportamento che si sviluppa principalmente in quasi tutti i bambini a partire dai due anni, il momento in cui si definisce l’identità anche attraverso la possibilità di dire “no”.

Durante la fase “neofobica” i rifiuti interessano soprattutto nuovi frutti, verdure e proteine, ma anche altri alimenti. Basta un colore percepito come “insolito” o una consistenza diversa, per scatenare un rifiuto netto e categorico: davanti a un bambino che non vuole mangiare, tuttavia insistere si rivelerebbe solamente controproducente. Si riproporrà con serenità il cibo in seguito, senza caricare il momento dei pasti di aspettative, pressione e tensioni superflue.

Anni di ascolto delle mamme ci hanno regalato qualche buon “trucco”, anche a tavola, per provare a convincere anche i bambini più diffidenti. Il primo è coinvolgere i piccoli appena possibile, dalla spesa alla preparazione del cibo: infarinare insieme, lavare le verdure, impastare, sono tutte esperienze non solo di “condivisione” ma che aiutano i bambini ad avvicinarsi al grande tema della corretta alimentazione, in modo concreto e divertente.

Il secondo è ricordare che anche l’occhio vuole la sua parte, nella vita come a tavola: la presentazione delle pietanze richiede cura, soprattutto quando deve invogliare un bambino riluttante.

Ultimo, attenzione alle quantità: i bambini sono inibiti da piatti traboccanti di cibo. Molto meglio assaggi più contenuti che non intimoriscano già al primo sguardo.

Coinvolgere i bambini avvicinandoli all’alimentazione in modo consapevole, li aiuta ad accrescere l’autostima: anche loro saranno gratificati dal sentirsi capaci e considerati,  in grado di diventare artefici della felicità di chi sta loro accanto.

Riferimenti

http://www.nutripedia.it/i-primi-mille-giorni/

http://www.nutripedia.it/regole-d-oro-per-lo-svezzamento/