Quando è nata la mia prima figlia, 7 anni fa, una delle prime cose che ho acquistato una volta tornata a casa dall’ospedale è stata una confezione di Acqua Panna, perché così faceva mia madre quando ero piccola io e perché ho sempre associato al prodotto l’idea di affidabilità e sicurezza, vuoi anche per ottima pubblicizzazione del marchio.
Nonostante la mia formazione scientifica devo però ammettere di non essermi mai chiesta perché. Perché l’Acqua Panna è consigliata per i neonati? Perché è considerata l’acqua migliore per loro, sia nella preparazione del latte artificiale che per la semplice quanto importante idratazione?
Nel mio caso allattavo… e la bevevo io, ma entrando in contatto con tante mamme-lettrici di Periodo Fertile ho scoperto che, una volta accertata la gravidanza, iniziano a bere proprio quest’acqua.
Ebbene, ho avuto il piacere e la soddisfazione personale di poter dare risposte esaustive a tutti questi interrogativi, trascorrendo un interessantissimo, ma anche divertente, fine settimana ospite con altre blogger di “Villa Panna”.
Ambiente, territorio e stabilimento
Villa Panna sorge proprio in prossimità dello stabilimento dell’Acqua Panna del Gruppo Sanpellegrino, immerso in una riserva naturale di ben 1300 ettari e poco lontano dalle sorgenti. La riserva esiste dal 1999 e copre una vastissima area proprio per garantire il non utilizzo di antiparassitari e concimi chimici nel territorio che circonda le sorgenti. L’ambiente viene costantemente monitorato ed è abitato da una fauna molto varia e ovviamente protetta. Guardate chi è possibile incontrare appena usciti dal cancello dello stabilimento:
Un bel branco di daini che pascolano nel territorio della riserva. Il paesaggio è abbastanza selvaggio nel senso che le semine vengono lasciate sul posto come cibo per la fauna selvatica che vi si trova. Oltre ai bellissimi daini della foto, trovano riparo in questa riserva le lepri, i cinghiali e una grande varietà di uccelli.
Se già il territorio trasmette l’idea di un ambiente incontaminato e altamente sostenibile, la visita allo stabilimento di imbottigliamento e alle sorgenti dell’Acqua Panna per me sono state una rivelazione.
Tutto ruota attorno ad un fondamento: un’acqua minerale deve essere imbottigliata senza subire alcun trattamento. Niente filtraggi, niente additivi chimici o naturali: berla dalla bottiglia o berla dalla roccia, emozioni a parte, deve essere la stessa cosa.
Il rigore del processo di imbottigliamento e l’attenzione ad ogni minimo dettaglio sono fondamentali e propri di una grande azienda. Pulizia, ordine, sicurezza e materie prime di eccellente qualità. Non ultimo una continua formazione e coinvolgimento del personale per tendere sempre all’eccellenza.
I controlli ovviamente sono innumerevoli e non si lascia spazio alle imperfezioni. L’acqua arriva agli stabilimenti dalle sorgenti attraverso un viaggio di pochi chilometri che compie in tubi di acciaio inossidabile.
Nella foto, in basso, si può osservare il punto dove arriva all’interno dell’impianto e viene controllata una prima volta.
Qui l’acqua inizia il suo viaggio che la porterà all’imbottigliamento, un percorso frenetico con innumerevoli step di controllo qualità e tanta tecnologia che permette di evitare ogni contatto con l’uomo: come esce dalla roccia l’acqua minerale deve arrivare sulle nostre tavole senza correzioni.
Le bottiglie in PET derivano da preforme che vengono trasformate in bottiglia durante il processo produttivo all’interno dello stesso stabilimento in condizioni controllate. Le bottiglie in vetro, invece, arrivano direttamente dalle vetrerie e subiscono un processo di risciacquo.
Le proprietà dell’acqua
L’Acqua Panna prima di essere incanalata per lo stabilimento, sgorga in sorgenti altamente protette non solo dal territorio, ma anche da una vera a propria struttura blindata, che viene chiamata la cassaforte dell’acqua. Qui attraverso finestroni sigillati abbiamo visto sgorgare dalle rocce un’acqua che ha impiegato ben 15 anni per arrivare a quel punto. Esce microbiologicamente pura, caratteristica di eccellenza delle acque minerali che non vanno trattate in alcun modo. Così come esce viene imbottigliata.
Tre tipi di acqua
Ci sono tre tipologie principali di acqua che possiamo consumare: quella minerali in bottiglia, quella potabile dell’acquedotto e quella filtrata da caraffe o specifici impianti. E’ importante capirne le differenze.
La purezza di un’acqua minerale è una caratteristica naturale così come la sua composizione salina che origina dal naturale scioglimento dei minerali presenti nelle rocce della zona. L’acqua è un elemento vivo e le rocce fungono da filtro naturale e da stabilizzatore, ovvero permettono che la composizione rimanga inalterata nel tempo.
L’acqua potabile dell’acquedotto, controllata e molto spesso una buona acqua anche all’origine, può essere ricavata sia da sorgenti che da fiumi e laghi. E’ un’acqua che circola in impianti interrati spesso vecchi e poco controllati, compresi i tubi domestici. Per questo motivo è un’acqua che deve subire varie tipologie di filtraggio, correzione e aggiunta di prodotti che ne permettano il controllo della carica batterica.
L’acqua filtrata con impianti “casalinghi” che è l’acqua potabile corretta una seconda volta, ma purtroppo in modo non controllato e aspecifico con il rischio di sbilanciare la corretta composizione o, per scorretta manutenzione dei filtri, introdurre nuove cariche batteriche.
Perché il PET
Oltre alle visite a stabilimento e sorgenti, abbiamo avuto delle riunioni molto interessanti durante le quali ho voluto chiedere come mai un’azienda attentissima all’ambiente come la Sanpellegrino, abbia comunque scelto la plastica (il PET) come contenitore dell’acqua minerale, sinonimo di purezza.
Il vetro è meno ecosostenibile del PET, perché impone dei costi ecologici di trasporto a vuoto, di lavaggio e sterilizzazione che sembrerebbero far perdere i vantaggi di riutilizzo dello stesso. Il PET invece è infrangibile, inerte, trasparente e riciclabile. Dietro questa scelta ci sono anni di ricerca e sviluppo che hanno portato anche alla produzione e all’utilizzo di RPET (PET riciclato) che ha caratteristiche tecniche praticamente identiche al PET.
Grazie alla spinta innovativa dell’azienda il riciclo delle bottiglie di PET del Gruppo Sanpellegrino ha permesso di evitare l’emissione di circa 559.000 tonnellate di CO2. Un numero importante che potrebbe crescere se tutta la filiera (produttori, grande distribuzione e sistemi di raccolta) ponessero come focus il corretto recupero del PET destinato agli alimenti.[1]
Al contempo le politiche di lightweighting (riduzione di peso degli imballaggi) in undici anni hanno ridotto il consumo di PET di circa il 16%, pari a 9.000 tonnellate.
Potete capire quindi che la continua ricerca di soluzioni nuove e sempre più ecosostenibili sia una mission imprescindibile per l’azienda che attualmente è impegnata anche in test che prevedono l’utilizzo di sostanze di derivazione naturale che possano in parte sostituire il PET delle bottiglie e non interferire con i meccanismo di riciclo.
Il profumo dell’acqua
Ebbene si, l’acqua ha un profumo. Io pensavo l’avesse solo l’acqua del mio rubinetto che in questi giorni evoca il cloro della piscina… e invece le varie acque minerali hanno un sapore particolare e un profumo ben definito, grazie al loro caratteristico profilo organolettico. Ce l’ha spiegato un bravissimo sommelier specializzato in degustazione delle acque. Io sarà sincera ammettendo che ho avuto qualche difficoltà, soprattutto nel captare il profumo. Ma ho fatto la degustazione dopo essermi lavata le mani con un profumatissimo sapone e sentivo solo quello… peccato! Però è estremamente interessante degustare acque diverse e cogliere le differenze che, anche per una neofita come me, sono ben percepibili. In questo caso vale proprio il detto “provare per credere”. Ora so di avere un’acqua preferita.
Si capisce che sono stata entusiasta di questa esperienza? Le aziende che sanno dare risposte convincenti e lavorano bene hanno tutta la mia stima. E noi continueremo a tramandarci da madre in figlia la tradizione dell’Acqua Panna 😉
[1] i dati sono stati tratti da uno studio, condotto dal Gruppo Sanpellegrino in collaborazione con l’istituto Althesys, che ha analizzato gli ultimi 11 anni della raccolta-riciclo del PET in Italia.