“Se vuoi cambiare il mondo, cambia te stesso”.
Gandhi
Per ogni traguardo raggiunto, una nuova sfida si presenta all’orizzonte. Spesso le mamme cercano rassicurazione nel confronto con le altre mamme e ancora più spesso non trovano grandi parole di conforto: i figli altrui sembrano sempre quelli che dormono di più, quelli con routine più consolidate, e via dicendo.
Non di rado ci si ritrova soli, pieni di domande circondati da genitori e famiglie perfette. A questo punto capita che si cerchino risposte tra le pagine dei libri.
Il libro
Le proposte in commercio abbondano di “Manuali”: il manuale che promette notti serene a genitori provati dalla mancanza di sonno, il manuale dello svezzamento, il manuale per affrontare le ribellioni adolescenziali: sembrano esserci risposte ad ogni problema, basta solo saperle cercare. Eppure, spesso si sente di essere proprio l’eccezione che conferma la regola e questi testi che promettono meraviglie ci deludono, o ci rendiamo conto che non fanno per nulla al caso nostro, che le soluzioni che ci vengono propinate sono molto lontane da noi. Con queste premesse e con una dose di “sano” scetticismo abbiamo approcciato la lettura di un libro che ha fatto il giro del mondo: “Il Metodo Danese per crescere bambini felici ed essere genitori sereni”. L’elisir per mantenere equilibrio, serenità e armonia arriverebbe dalla Danimarca, designata dal 1973 il Paese con il maggior numero di persone felici. Le due autrici, Jessica Alexander, giornalista americana e Iben Sandhal, psicologa, hanno deciso di provare a capirci qualcosa di più, cercando di scoprire quale sia il loro segreto.
La risposta è fondamentalmente semplice. Tutto è racchiuso nel metodo che utilizzano per crescere i loro figli: è un’eredità preziosa che si tramanda di generazione in generazione ed è diventata parte del tessuto sociale, che aiuta a formare bambini prima e adulti dopo equilibrati, sereni, sicuri di sé e resilienti.
Ciò che colpisce è che a differenza di molti testi che propinano rimedi e scorciatoie per ogni dilemma, cercando però sempre la causa al “di fuori” del genitore, il Metodo Danese parte dal presupposto contrario, ponendo il genitore al centro. Per una volta, non è sotto la lente di ingrandimento l’atteggiamento del bambino, si osserva al contrario l’attitudine del genitore, lo si invita a mettersi in discussione, ad esaminare i suoi automatismi, ad analizzare l’eredità che porta con sé come bagaglio a sua volta dai propri genitori e filtrarla con una sorta di setaccio, per lasciar scorrere tutto quello che non serve più trattenendo solo il buono.
Si parte da qui, da se stessi. Si parte mettendosi davanti allo specchio e facendosi una domanda alla quale si cerca talvolta di sfuggire:” Come stanno andando le cose?”. Spesso la quotidianità con i suoi impegni, stress e imprevisti non ci dà un attimo di tregua per fermarci e riflettere. Nei momenti difficili possono prevalere i comportamenti istintivi, automatismi che mettiamo in atto quasi senza rifletterci per davvero. Fermarsi e cambiare questo atteggiamento è il primo passo per ottenere riscontri positivi spesso inaspettati. Che cosa vi piace del modo in cui state educando i vostri figli? Cosa cambiereste? Il vostro comportamento è la ripetizione di ciò a cui vi hanno abituato i vostri genitori?
Una volta che abbiamo le risposte a queste domande sei sono i pilastri del Metodo Danese, le cui inziali formano la parola “Parent” (Genitore) : Play (gioco), Authenticity (autenticità), Reframing (ristrutturazione degli aspetti negativi), Empathy (empatia), No ultimatum (nessun ultimatum), Togetherness (intimità).
Sei ingredienti magici alla base di una vita serena, per tutta la famiglia:
1) Lasciateli esplorare
Non cedete alla tentazione di organizzare i loro pomeriggi dopo la scuola riempiendoli di attività per il timore che si annoino: lasciateli giocare, lasciate che con il gioco imparino a conoscere l’ambiente e se stessi. Gli studi dimostrano che un ambiente ricco di stimoli legato al gioco aiuta la crescita della corteccia cerebrale. Quindi, televisione spenta e via all’immaginazione. Non mostrate mai loro come si gioca, lasciate che sperimentino, se possibile anche all’aria aperta cercando aree sicure dove lasciarli liberi: sono questi i luoghi i cui useranno la loro immaginazione e si divertiranno. Se possibile mettete insieme bambini di età diversa: si favoriranno reciprocamente nell’apprendimento aiutandosi e sostenendosi a vicenda. Impareranno a fidarsi degli altri, a cooperare e rendersi utili. Quando il desiderio di “proteggerli” prende il sopravvento, prendete un bel respiro e fate un passo indietro: ricordate che stanno imparando e non interferite se non strettamente necessario.
2) Siate autentici e insegnate ad esserlo
Chi più di un genitore non vorrebbe essere lo scudo per ogni figlio a tutto ciò che è negativo? Eppure, non sempre proteggere un bambino da ogni cosa sembra essere, alla lunga, la strada migliore.
Questo è per i danesi ciò che si chiama “genitorialità autentica”: il primo passo per guidare i figli a riconoscere le emozioni, gestirle e saperle comunicare. I primi a dover dare l’esempio siamo di nuovo noi genitori, ricordando che i nostri bambini ci osservano più di quanto forse immaginiamo. Illuderli di un lieto fine per ogni situazione, lodarli eccessivamente, cercare di silenziare le loro emozioni negative, sono tutti atteggiamenti che sulle prime semplificano apparentemente i conflitti, ma nel lungo periodo allontanano sempre di più il bambino da se stesso, impedendogli di riconoscere i suoi stati d’animo e non insegnandogli a comunicarli. Come comprenderà un’emozione come la rabbia se ogni volta che prova a esprimerla si cerca di evitare che lo faccia? Come reagirà quando inizierà a capire che la vita non va sempre come nelle favole?
È interessante notare come le fiabe originali di Andersen, non a caso danese, non avessero affatto tutte un lieto fine. Nelle traduzioni in inglese gli adulti hanno fatto molta attenzione a ciò che dovrebbe essere evitato alle orecchie dei piccoli, ma le versioni originali non prevedevano sempre il classico “E vissero felici e contenti”. Una su tutte, La Sirenetta, ha un epilogo tutto tranne che in rosa: la protagonista fa ritorno alle onde del mare, non ci sarà l’abbraccio del principe a “salvarla”.
Abituare i piccoli a storie che abbracciano tutte le emozioni espanderà la comunicazione verso un dialogo sincero che aprirà le porte all’empatia, alla resilienza e a sentimenti di gratitudine per tutto ciò che di bello offre la vita di ogni giorno.
3) Ristrutturazione: ovvero la lente con cui osserviamo la nostra esistenza
Ovvero, riscrivere la narrativa delle situazioni potenzialmente negative. Non si tratta di “ingannare” i bambini quando qualcosa va male né di sminuire uno stato d’animo, tantomeno di ignorare le informazioni negative promuovendo un ottimismo “campato per aria”.
Si tratta di cambiare la percezione che i nostri figli hanno della vita ricordando prima a noi stessi che il nostro modo di vedere le cose è in grado di influenzarla per davvero. Non si tratta di liquidare un figlio con parole di facile consolazione, si tratta di fornigli delle nozioni con cui può riscrivere una storia più interessante, con una visione più indulgente e amorevole in primis verso se stesso. La capacità di ristrutturazione è un regalo di grande valore, tra e chiavi della felicità per tutta la vita.
4) Empatia
Nel sistema scolastico danese c’è un programma nazionale obbligatorio chiamato “Step by Step”: ai piccoli vengono mostrate foto di altri bambini e si chiede loro quali emozioni stanno provando. Questo insegna a concettualizzare i propri sentimenti e quelli altrui. Imparano, mettendosi nei panni altrui, a risolvere i problemi, l’autocontrollo, e a leggere le espressioni del viso. Una parte fondamentale è costituita dal fatto che viene insegnato loro a non giudicare le emozioni altrui ma solo a riconoscerle e rispettarle.
Insegnare ai bambini che l’empatia e la collaborazione, regalano un autentico senso di benessere e soddisfazione, in tutte le fasi della vita.
Giudicando e valutando meno, ascoltando di più, è più facile trovare ciò che ci accumuna al prossimo, piuttosto che ciò che ci divide.
5) Evitare gli ultimatum
Calma e controllo: queste sono le parole da ricordare. Uno stile genitoriale autoritario allontana i figli: la fiducia e la vicinanza vengono sostituite dalla paura. Quella che nel breve periodo può sembrare la via più semplice, a lungo andare si rivela quella che porterà meno risultati, se non a veri e propri danni. I genitori devono impegnarsi far sì che le regole vengano rispettate. I bambini che vengono aiutati a comprendere e osservare le regole sviluppano un senso di autocontrollo molto più forte che crescendo farà di loro adulti emotivamente più stabili e sereni.
6) Creare in casa un’atmosfera di intimità e ricordare di essere una squadra
Collezionare bei ricordi, rendendo la casa un nido a cui fare ritorno, un porto sicuro dove avere la certezza di trovare amore e comprensione.
Mettere da parte se stessi e ricordare sempre di essere una squadra che funziona finché resta unita. Non smettere di sostenersi l’un altro e costruire una piccola comunità con poche regole ma chiare permetterà a tutta la famiglia di rimanere solida nei giorni belli e in quelli meno belli, che inevitabilmente di tanto in tanto arriveranno.
Riconoscere le difficolta con la certezza di possedere risorse e strumenti per affrontarle, senza mentire a se stessi e senza facili illusioni. Con una sola certezza: scriveva Shakespeare che “Nessuna eredità è più preziosa dell’onestà”, soprattutto verso se se stessi. Questo tra i beni più preziosi che possiamo consegnare nelle mani delle prossime generazioni.
Forse non è così impossibile, e non c’è nulla di questi principi che non conoscessimo già: basta sforzarsi di fermarsi e trovare il tempo di chiedere a noi stessi se siamo sulla via giusta con i nostri figli, se ci stiamo comportando come vorremmo. È già un primo passo per rimanere ogni giorno connessi con la testa e il nostro cuore. Così facendo, è molto probabile che le risposte arrivino, pian piano. Tutte.