Ah, ma hai avuto un figlio? Non lo sapevo. Che bello! E come si chiama? Filippo che bel nome. Assomiglia a te, guarda che nasino all’insù.
Ciao, ma sei diventata mamma? Auguri, complimenti, com’è? Bravo? Che fortuna se ti dorme di notte. Assomiglia tutto al papà.
Com’è la vita a tre? E i nonni come si comportano? Chissà come sono felici.
Ecco, queste sono solo alcune delle domande che ricevo negli ultimi due mesi, cioè da quando è nato Filippo. A queste domande rispondo con il sorriso, sono felice di pesentare al mondo il mio piccolo, sono orgogliosa di mostrare il nostro pupo.
Poi, immancabilmente, arriva un’ultima, scomoda e snervante domanda: e il parto? E andato tutto bene?
A questa domanda rispondo sempre abbassando il tono della voce e lo sguardo. Rispondo tornando profondamente seria e, ancora adesso a distanza di due mesi, faticando a trattenere quel groppo in gola che rischia sempre di salire pericolosamente e di far scendere delle lacrime amare, rispondo: ho fatto un cesareo.
Già, ho fatto un cesareo e quindi il parto non è andato bene, non è andato come mi aspettavo, non è andato secondo i miei calcoli, non è andato come mi auguravano la miriade di libri e di testi che ho letto durante i nove mesi precedenti.
Ho fatto un cesareo. O meglio, ho rotto le acque, ho iniziato il travaglio, ho continuato il travaglio per la bellezza di circa 40 ore (tra iniezioni di ossitocina, epidurale, vomito e pianti) e ho terminato il tutto con un cesareo perchè Filippo non ne voleva sapere di scendere e di appoggiare la sua testolina sul mio utero e di aiutarmi a far dilatare un utero che poi si è rivelato incapace di dilatarsi.
Generalmente questi incontri con conoscenti e amici si concludono con un sorriso imbarazzato e la tipica frase: bhe, l’importante è che stiate bene tutti e due.
Bhe, non è vero, non è vero che l’importante è che stiamo bene tutti e due. O meglio, certo stiamo bene tutti e due, Filippo è un bambino divertente e molto pacifico e io e mio marito siamo innamorati pazzi di lui. Ma io ho una cicatrice, una cicatrice fisica che si sta completamente rimarginando e una psicologica, che fatica a chiudersi e, con una regolarità spaventosa, torna ad aprirsi creando un solco nei pensieri felici di questo momento.
L’altro giorno, mentre il pupo dormiva e io ero in doccia, riflettevo su questa mia difficoltà nell’elaborare questo parto e allora ho capito, tutto mi è sembrato chiaro e palese. Io fatico ad accettare il mio parto, il cesareo, perchè ho la convinzione di non aver partorito, di non avercela fatta, di aver fallito. E perchè ho questa convinzione? Perchè in tutti i libri e articoli letti ho sempre trovato scritto che è importante il parto naturale, che è fondamentale per poter creare un legame con il proprio figlio dal primo minuto, perchè solo così si sviluppano gli ormoni dell’amore che servono poi a rafforzare quel legame indissolubile e profondo. Solo il parto naturale viene ampiamente descritto e raccontato, in maniera positiva, dalle mamme e dagli scrittori; solo il parto naturale viene mostrato nei video in internet. Il fatto che amici e conoscenti concludano i nostri incontri in maniera imbarazzata dicendo: e vabbé, l’importante è che stiate bene tutti e due, ecco questa è la prova che socialmente e culturalemnte, viviamo in un’epoca nella quale il parto naturale è altamente idealizzato e il parto cesareo altamente demonizzato. E quando si parla di taglio cesareo, ecco, i termini cambiano: si citano solo statistiche nelle quali viene evidenziato il fatto che gli ospedali tendono a fare sempre più cesarei per poter guadagnare di più, ma così facendo si perde la capacità di passare attraverso quel dolore così utile e necessario che comporta il parto naturale. Il fatto che vengano fatti sempre più tagli cesarei a discapito di parti naturali viene visto come il fallimento di quel compito prettamente femminile di mettere al mondo figli, capacità che le nostre nonne e forse ancora le nostre mamme avevano ancora. Il ricorso al taglio cesareo viene visto come un’incapacità, tipica della nostra società, di sopportare il dolore, la frustrazione e di avere pazienza e rispettare il corso della natura. Insomma, per farla breve, chi partorisce con un cesaro è sostanzialmente un’inetta, un’incapace e una fallita.
Forse questa visione è terribilmente negativista e appartiene solo al mio vissuto, ma proprio per questo mi rende difficile, sempre più difficile accettare il mio parto, il mio cesareo. Mi ritrovo spesso a pensare che non sono stata in grado di partorire, che non sono stata sufficientemente forte per riuscirci, che sono stata poco coraggiosa. E così mi sento una fallita e provo profonda rabbia nei miei confronti e profonda invidia per chi invece il parto naturale l’ha provato.
Poi però, quando la parte razionale di me riprende il controllo, mi dico che io non ho scelto di fare il cesareo, io ho dovuto fare un cesareo, dopo 40 ore interminabili di contrazioni; in un certo senso ho subito un cesareo perchè non c’era altro da fare, perchè il mio utero non si dilatava. Non è vero che non sono stata in grado di partorire, non è vero che sono una fallita, non è vero che non sono stata in grado di sopportare il dolore; io il dolore l’ho sopportato per molte ore e il taglio è arrivato come conclusione di un percorso intenso, prova della mia capacità di sopportazione.
E poi….anche se avessi scelto di fare il cesareo? Se avessi deciso coscientemente di fare un cesareo? Se avessi concordato con il medico un’operazione per far nascere mio figlio?
Sarei una mamma meno buona? Meno valida? Meno affettuosa e capace?
Bhe, la risposta è no. Ogni donna segue il proprio percorso per diventare madre e quel percorso, naturale o meno che sia, è il percorso adatto a lei, alle sue capacità e alle sue caratteristiche.
In conclusione, mi rendo conto che il percorso di accetazione di questa esperienza è lungo e tortuoso; a tratti la mia parte emotiva prende il sopravvento e mi ritrovo in doccia a piangere pensando che non sono stata brava e non sono stata capace di partorire in maniera naturale; a tratti invece mi dico che non è vero, che ci ho provato, ma la natura e la meccanica del mio corpo hanno fatto il loro corso e che io non ci ho potuto fare molto.
Ma quello che più mi dispiace di questa mia esperienza è il fatto che le mie difficoltà di elaborazione dipendano dal messaggio che veicola la nostra società, messaggio che tende a demonizzare il parto cesareo, non tenendo conto che in alcuni casi è necessario e in altre è una scelta personale. Quello che invece mi rende felice è il sorriso di mio figlio, il grande e immenso sorriso che mi riserva alle 3 di mattina quando mi alzo per allattarlo. Ecco, in queste occasioni mi sento bene, felice, serena ed in pace con me stessa; il ricordo del mio parto svanisce insieme ala frustrazione di aver passato la prima ora di vita di mio figlio dormendo sul letto di una sala operatoria mentre mi ricucivano la pancia. In questi momenti sento che quello che conta è il rapporto che si crea giorno per giorno, rispetto ai primi istanti di vita, ad avere importanza; e in questo rapporto poco centra la modalità con al quale si è venuti al mondo.
Sigis mamma di aprile