La nostra costituzione afferma che “ la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio”.
La parola matrimonio viene quindi ad assumere due diversi significati:
- Atto giuridico costitutivo della famiglia
- Rapporto giuridico
Il matrimonio inteso come atto giuridico viene regolato sia dal diritto civile che dal diritto canonico. Consociamo infatti due tipologie di matrimonio:
- Matrimonio civile celebrato dinanzi l’ufficiale dello stato civile
- Matrimonio concordatario celebrato dinanzi ad un ministro del culto cattolico avente sia effetti civili sia religiosi con la trascrizione nei registri di stato civile . grazie al Concordato tra Stato e Chiesa del 1929-
Il matrimonio come rapporto giuridico è disciplinato unicamente dal diritto civile ( art. 143-148 cc) e dalla Costituzione che riconosce ai coniugi i medesimi diritti e doveri in quanto fondata sulla loro uguaglianza morale e giuridica,
Una volta celebrato il matrimonio esso comporta dei diritti e dei doveri. Vediamo i più importanti:
Coabitazione
Si tratta della nella normale convivenza tra marito e moglie, cioè nella comunione di casa e vita sessuale che rappresenta il modello sociale di convivenza coniugale. Entrambi i coniugi devono fissare di comune accordo la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e della famiglia stessa ( art. 144 ). In caso di disaccordo ciascun coniuge può chiedere l’intervento del giudice, il quale decide la soluzione che ritiene più adeguata alle esigenze della vita della famiglia.
L’obbligo di coabitazione viene meno con la separazione mentre la sua violazione è determinata con l’allontanamento senza giusta causa dalla casa coniugale da parte uno dei coniugi.
I coniugi devono scegliere insieme dove andranno a vivere. L’abitazione prescelta rappresenta il luogo entro cui si svolge la maggior parte della comune vita familiare. Tuttavia, non si può più attribuire al dovere di coabitazione il significato originario di convivenza fisica. Occorre separare il concetto di coabitazione da quella di residenza familiare. Il legislatore richiede per la fissazione della residenza familiare l’accordo delle parti, ma al contempo conferisce a ciascun coniuge la facoltà di eleggere il proprio domicilio nel luogo in cui egli abbia i propri interessi e affari, necessari per assolvere all’obbligo di collaborazione e contribuzione alla soddisfazione dei bisogni della famiglia. Quindi il valore fondamentale tutelato dalla legge è stabilito dalla famiglia, perseguita attraverso la comunione materiale e spirituale di vita, di cui la coabitazione (nel senso di vicinanza fisica) non rappresenta una dimensione essenziale.
L’allontanamento dalla residenza familiare, senza giusta causa fa decadere il dovere di coabitazione che è collegato anche agli obblighi di assistenza e collaborazione familiare. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20509 del 14 Febbraio 2012, stabilisce che l’abbandono del tetto coniugale prima della domanda di separazione e senza una valida ragione fa scattare automaticamente l’addebito a carico del coniuge che ha reciso la convivenza. Tanto più quando lo ha fatto per intraprendere una nuova relazione sentimentale.
Assistenza morale e materiale
Ciascun coniuge deve far fronte ai bisogni della famiglia in proporzione alle proprie sostanze e capacità di lavoro professionale e/o casalingo; ciascuno deve far fronte alle esigenze anche materiali dell’altro quando questi non sia in grado di provvedervi ( caso tipico la perdita del lavoro).
Fedeltà
Il dovere di fedeltà consiste nell’obbligo di astenersi da rapporti sessuali con altra persona. L’inosservanza è priva di ogni rilievo penale, potendo rilevare solo come momento di imputazione della responsabilità per la separazione ad uno dei coniugi; ciò peraltro quando risulti comprovato il nesso causale tra comportamento infedele coniugale e crisi del matrimonio, non essendo sufficiente a determinare l’addebito della separazione un comportamento isolato che non abbia spiegato reale incidenza sulla unità familiare.
Fedeltà e separazione:
L’art. 151 c.c. afferma che: “La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole.
Il Giudice, pronunziando la separazione dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”.
Nella disciplina vigente, la dichiarazione di addebito può essere pronunciata dal giudice “se richiesto” e se “ricorrono le circostanze dell’addebito”.
Presupposto della dichiarazione di addebito è un comportamento cosciente e volontario contrario ai doveri che derivino dal matrimonio (ex art. 143 c.c. obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione).
Secondo giurisprudenza costante della Suprema Corte, la dichiarazione di addebito della separazione richiede la prova che l’irreversibilità della crisi coniugale sia collegabile al comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi sussistendo un nesso di causalità fra di esso e il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza (tra le altre Cass. Civile 27 Giugno 2006 n. 14840; Cass. Civile 11 Giugno 2005 n. 12383).
Secondo i Giudici la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, ma è invece necessario accertare se tale violazione non sia intervenuta quando già si era maturata ed in conseguenza di una situazione di intollerabilità della convivenza (tra le altre Cass. Civile 28 Aprile 2006 n. 9877).
Di recente i Giudici della Suprema Corte si sono pronunciati sul tema della violazione dell’obbligo di fedeltà ed hanno affermato che “rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a determinare l’addebito della separazione a carico del coniuge responsabile” ma “fermo restando che deve sussistere il nesso di causalità fra l’infedeltà e la crisi coniugale, il quale viene meno ove preesista una crisi già irrimediabilmente in atto” (Cass.Civile 23 Maggio 2008, n.13431).
Sempre sul tema i Giudici hanno statuito che “l’obbligo della fedeltà è da intendere non soltanto come astensione da relazioni extraconiugali, ma quale impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la reciproca fiducia ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, che dura quanto dura il matrimonio.
La nozione di fedeltà va avvicinata a quella di lealtà la quale impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. In questo quadro l’infedeltà affettiva diventa componente di una fedeltà più ampia che si traduce nella capacità di sacrificare le proprie scelte personali a quelle imposte dal legame di coppia e dal sodalizio che su di esso si fonda”. Costoro ribadiscono il pensiero della giurisprudenza della Corte ed affermano “il Giudice non può fondare la pronuncia di addebito sulla mera inosservanza dei doveri di cui all’art. 143 c.c. dovendo, per converso, verificare l’effettiva incidenza delle relative violazioni nel determinarsi della situazione di intollerabilità della convivenza.”
A tale regola non si sottrae l’infedeltà di un coniuge la quale, pur rappresentando una violazione particolarmente grave, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, può essere rilevante ai fini dell’addebitabilità della separazione soltanto quando sia stata causa o concausa della frattura del rapporto coniugale e non anche, pertanto, qualora risulti non aver spiegato concreta incidenza negativa sull’unità familiare e sulla prosecuzione della convivenza medesima: come avviene allorquando il giudice accerti la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto perchè autonoma ed indipendente dalla successiva violazione del dovere di fedeltà” (Cass. Civile 11 Giugno 2008 n.15557).
Pertanto dalle pronunce della Corte Suprema si evince che affinché la violazione di uno degli obblighi nascenti dal matrimonio possa condurre il giudice ad addebitare la separazione al coniuge trasgressore è necessario che alla violazione sia riconducibile la crisi dell’unione.
Nel caso in cui non si riesca a dimostrare che la violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio sia stata la causa (unica o prevalente) della separazione, in quanto ad essa preesisteva una diversa causa di intollerabilità della convivenza, il giudice dovrà pronunciare la separazione senza addebito.
Obbligo di mantenere ed educare la prole
I coniugi quali genitori hanno l’obbligo di educare, istruire e mantenere la prole secondo le proprie capacità di reddito da lavoro e/o casalingo e rispettando le inclinazioni e aspirazioni naturali dei figli.
Insomma anche il matrimonio, inteso come atto giuridico, deve sottostare a delle regole per essere tale.
Finchè c’è l’amore e tutto fila liscio nessuno dei coniugi si prende la briga di andare a leggere i punti sopra citati, e tutto è dato per scontato.
L’augurio ovviamente è quello di continuare a darli per scontati “per sempre”.
La realtà insegna purtroppo che molti matrimoni si arenano precocemente ed è giusto conoscere i propri diritti e doveri in tempo.