Essere madre non è facile.
Si comincia dalla gravidanza, quando il corpo e la mente della donna attraversano per la prima volta un territorio inesplorato, fatto di cambiamenti, di dubbi, di emozioni improvvise e di trepidanti attese.
Indice
L’idillio della gravidanza
Molte donne che hanno vissuto l’esperienza della gravidanza probabilmente non hanno scordato quell’atmosfera di “approvazione” da parte della società, fatta di sorrisi benevoli non appena la pancia inizia a diventare evidente, di tenerezza con cui amici e conoscenti si informano dello stato di salute della mamma e del bambino, alla condivisione di aneddoti, e tanto altro.
La donna fa esperienza di un impegnativo cambiamento fisico ed emotivo, ma come in una parentesi di vita ovattata e privilegiata questo viene in parte “ripagato” dalle attenzioni che riceve da coloro che le sono accanto.
Dai progetti di una vita tutta da scoprire, da un nuovo ruolo, alla casa, ogni cosa si modifica piano piano per fare spazio agli oggetti che saranno utili all’accudimento del bambino, ai cassetti che profumano di fresco colmi di abitini che attendono solo di essere indossati. I ritmi rallentano con l’avvicendarsi dei mesi, e tutto sembra straordinario, per quanto non sempre così semplice.
La mamma in attesa inizia a frequentare un corso preparto per arrivare pronta sia al grande giorno che al ritorno a casa con il neonato, e viene avvolta e coccolata insieme ad altre mamme da un’atmosfera di apprendimento, di complicità femminile, di segreti che si tramandano.
C’è l’ostetrica che illustra le parti teoriche, la psicologa con cui condividere i dubbi più profondi, la doula che allevia con massaggi e oli profumati le fatiche di una pancia che inizia a diventare ingombrante. In molti corsi preparto si dà spazio anche ai papà, per coinvolgere anche loro da subito in un’esperienza che sicuramente cambierà e non poco gli equilibri della coppia.
Le settimane, che sembrano interminabili, in realtà scivolano via veloci e presto giunge il momento del parto, che per ognuna ovviamente è un’esperienza diversa ma che pone la donna per la prima volta davanti a un dato di fatto di cui nessun corso preparto fa mai parola: l’elemento sconosciuto, l’imprevisto, che nel bene e nel male accompagna ogni nascita. Nessuna parola pronunciata fino a poche settimane prima sarà mai in grado di restituire le emozioni di un momento di vita tanto significativo e trasformativo.
Benvenute nella realtà: il ritorno a casa
Una volta lasciato l’ospedale insieme a tutti i supporti che la mamma ha ricevuto per le prime cure del neonato e nell’avvio dell’allattamento, ecco che arriva il momento di misurarsi in prima persona con la nuova vita.
Dopo pochi giorni di congedo è verosimile che il compagno faccia ritorno al lavoro ed è qui che la neo-mamma si confronta per la prima volta con una quotidianità totalmente stravolta e con tutte le difficoltà che questo comporta.
Diventa da subito evidente che l’idillio spesso descritto presenta tinte meno brillanti di quelle che si immaginava. Che quell’amore improvviso, straziante che avrebbe “ripagato” immediatamente ogni dolore e fatica, può capitare di non provarlo nè subito, né con l’intensità descritta. Che il corpo risente di tutta la fatica della gravidanza e del parto ma il tempo e lo spazio per recuperare non si riescono a trovare.
L’aumento delle depressioni post parto in una società come la nostra, dove le reti familiari che fino a qualche decennio fa costituivano un imprescindibile sostegno emotivo e pratico per la donna, è un’indicazione sociologica su cui forse è ora di smettere di chiudere gli occhi.
I mesi successivi al parto sono spesso vissuti in uno stato di solitudine per la maggior parte della giornata, in un alternarsi di rituali di cura e accudimento del bambino. Le giornate, rispetto ai ritmi lavorativi a cui molte donne sono abituate, possono sembrare interminabili mentre il tempo da dedicare a se stesse si riduce ai minimi termini e si inizia forse a fare i conti con un dato di fatto che sembrerebbe un’ovvietà ma non lo è poi così tanto: c’è ora una persona che dipende totalmente dalle nostre cure e che ha la precedenza.
Ha la precedenza sui nostri umori, ha la precedenza sulla stanchezza, ha la precedenza sui nostri desideri estemporanei.
Inizia il periodo delle passeggiate al parco, delle amicizie con altre neomamme; quando va bene si incontrano persone disposte a condividere in modo autentico la loro esperienza, e questo scambio sicuramente è fonte di informazioni, conforto e arricchimento del proprio bagaglio.
Quando invece non va poi così bene, le confessioni di una neomamma che lamenta ore di sonno perdute, stanchezza, noia, desiderio di ritagliare un po’ di tempo per sé o anche solo di farsi una doccia con calma, vengono respinte immediatamente al mittente con atteggiamenti e parole di inequivocabile disapprovazione con un denominatore comune:
“Hai voluto la bicicletta? E ora pedala”.
Come se diventare “mamma” appagasse e annullasse insieme ogni legittimo bisogno o desiderio di quella che prima di tutto rimane una persona.
Perché accade questo? Perché il “materno è sacro”, come scrive Matilde Trinchero nel suo “La solitudine delle madri”: “Non si può intaccare quell’aura di sacralità senza ricevere in cambio sgomento. E le parole difficili restano confinate nell’oscurità del malessere e della solitudine.
Dovremmo forse iniziare a pensare che la naturalità della maternità e l’abusato istinto materno non esistano a priori, per ogni donna, come si è diffusamente dato per scontato, che le difficoltà esistono, anzi stanno aumentando parecchio e che dar loro un nome è un modo per circoscrivere ciò che non funziona da ciò che funziona. E che per coloro che non hanno avuto in dono dalle circostanze della vita l’istinto materno esiste la possibilità di apprendere la maternità con gli inevitabili errori, le molte cadute, i frequenti dubbi presenti in ogni apprendimento. Errori, dubbi e cadute che, preservando dall’arroganza di essere sempre nel giusto sono più positivi di troppe certezze”.
Stereotipi di maternità
Un contributo senza dubbio determinante a creare sempre più senso di inadeguatezza nelle neomamme è costituito dal Web e più precisamente dai Social Network che spesso non fanno che rinforzare uno stereotipo di maternità fasullo, patinato e totalmente distante dalla realtà.
Celebrità che a poche ore dal parto svettano sui tacchi con la piega fresca di parrucchiere e il sorriso rilassato, immagini e racconti di blogger che descrivono una realtà per lo meno poco credibile, di neonati sorridenti, di uomini che senza un minimo di esitazione entrano disinvolti nei nuovi panni di papà, di volti senza stanchezza.
Quello che omettono di dire però è per uno scatto “da copertina”, ce ne sono nove che probabilmente tutto facevano tranne che restituire quell’immagine di asettica perfezione, e che continuare a propinare narrazioni irreali in cui è molto improbabile identificarsi non fa che aumentare la distanza da una realtà che fatta di emozioni forti e uniche, ma anche di case disordinate e giochi sparsi, occhi stanchi, coppie che faticano a trovare un nuovo assetto dopo la maternità, notti insonni e bambini da cullare, pile di vestiti da lavare, amicizie che si danno alla macchia, aiuti che scarseggiano, e molto probabilmente una battuta d’arresto dal punto di vista lavorativo.
Anche ai cambiamenti più importanti, si sa, occorre tempo per essere compresi dal profondo. Il problema è che forse nascondere la polvere sotto al tappeto non sta portando buoni risultati.
Forse è il caso di caricare la maternità di meno aspettative irrealistiche e di più informazione nelle donne e nelle coppie che stanno progettando di avere un figlio. Bisognerebbe che alle donne venisse fatto un grande dono, quello delle verità, e che questo dono imparassero a restituirlo alle altre donne.
Che venisse raccontato che un figlio è un amore che nessuna parola può descrivere, ma che comporta un livello di dedizione e di abnegazione per cui bisogna sentirsi all’altezza. Bisognerebbe raccontare che i bambini piccoli non sono fagottini remissivi che stanno al posto che decidiamo per loro, e che interpretare i loro bisogni non è semplice.
Che sarà meraviglioso, ma non sarà facile.
Che sarà gioia, ma anche fatica.
Che il tempo per la coppia sarà molto ridimensionato.
Che ci saranno belle giornate e momenti in cui si contano le ore perché si arrivi a sera per riposare qualche ora.
Che è possibile amare come mai prima e un secondo dopo avere voglia di scappare.
Che l’ambivalenza fa parte di ogni essere umano, e una mamma ne ha diritto esattamente come gli altri.
Che lamentarsi della stanchezza, di un corpo che si fa fatica a riconoscere, o di una vita completamente “stravolta” non toglie nulla all’amore verso i propri figli.
Virginia Woolf scriveva nel romanzo “Le cose che accadono”:
“C’è tutto un problema, che mi interessava… delle cose che non si dicono; che effetto ha questa reticenza?”
Possiamo provare a rispondere che questa reticenza fa sentire in colpa e sarebbe bello iniziare a raccontare la verità, una volta per tutte. Perché è meraviglioso sognare, ma solo la realtà può restituire alla maternità la completezza e la dignità che merita.
Le storie narrate ci sostengono nella vita di ogni giorno, ma per dare sollievo, nutrimento e talvolta conforto, non può mancare un ingrediente, l’autenticità.
Se scrivendo, o semplicemente parlando, i nostri racconti alleviassero almeno un po’ la fatica e la solitudine, se ci facessero sentire davvero parte di qualcosa, di una “rete” donne che come molte prima stanno percorrendo questa avventura, potremmo già essere certe di aver compiuto un primo e importante passo.
Riferimenti
- Trinchero M, La solitudine delle Madri, Edizioni Magi (2008).