Scopriamo assieme cosa significa tecnica invasiva, quali malattie possono essere scoperte, quali rischi comportano.
Si distingue dalla diagnosi pre-impianto, che viene anch’essa considerata la più precoce tecnica di diagnosi prenatale, poiché questa viene eseguita sull’embrione prima del suo trasferimento in utero.
Invasive e non invasive
Le tecniche di diagnosi prenatale possono essere invasive, ovvero fatte prelevando (di solito con un ago) del tessuto o del liquido amniotico, oppure non invasive perché limitate all’analisi del sangue senza comportare rischi per il feto.
In base alla loro invasività possiamo distinguere:
- Analisi non invasive: DNA fetale circolante e test combinato
- Analisi invasive: celocentesi, villocentesi, amniocentesi, cordocentesi
Il materiale prelevato viene poi sottoposto a delle analisi di laboratorio, che possono durare anche alcuni giorni. Ci sono diverse tecniche che possono essere applicate, più o meno complesse, e che permettono di diagnosticare differenti anomalie.
In base alle tecniche di laboratorio utilizzate per la diagnosi, possiamo distinguere:
- Cariotipo standard
- QF-PCR
- CGH-ARRAY
- Analisi malattie monogeniche
Diagnosi prenatale: analisi non invasive
Le analisi prenatali non invasive sono senza rischi anche se permettono una diagnosi più limitata sia nella precisione che nel numero di anomalie diagnosticabili.
Test del DNA fetale circolante
Il test del DNA fetale circolante è una innovativa tecnica diagnostica non invasiva che consente di analizzare la piccola quantità di DNA fetale presente nel circolo sanguigno della madre.
L’analisi si esegue mediante un semplice prelievo di sangue della madre eseguito alla 9°-10° settimana di gravidanza.
Questa tecnica, recentemente introdotta anche in Italia, è al momento ancora molto costosa e dunque difficilmente proponibile su larga scala.
La tecnica diagnostica con una sensibilità del 99% le più comuni anomalie cromosomiche fetali legate soprattutto all’età materna avanzata, ovvero trisomia 21 (Sindrome di Down), trisomia 18 (Sindrome di Edwards), trisomia 13 (Sindrome di Patau), anomalie dei cromosomi sessuali (Sindrome di Turner, Sindrome di Klinefelter, ecc..).
VANTAGGI: essendo una tecnica non invasiva, azzera il rischio di perdita fetale.
SVANTAGGI: ha un costo elevato poiché di recente introduzione e analizza solo 5 cromosomi anche se con massima sensibilità.
Test combinato o ultrascreen o ultratest
Questo test non invasivo, chiamato anche ultrascreen o ultratest, fornisce un rischio statistico calcolato grazie al dosaggio di due ormoni (fbHCG e PAPP-A) presenti nel sangue materno nel terzo mese di gravidanza e alla misurazione ecografica di alcuni parametri fetali, il più importante dei quali è la translucenza nucale (misura della fisiologica raccolta di liquido presente nella regione della nuca del feto).
Il test ha una sensibilità del 90-96%, quindi con un’elevata percentuale di falsi positivi (risultato del test ad alto rischio ma feto sano) e falsi negativi (risultato del test a basso rischio ma feto affetto).
I falsi positivi causano un aumento di diagnosi prenatali invasive (villocentesi e amniocentesi) “inutili”, mentre i falsi negativi possono causare la nascita di un feto con anomalie cromosomiche.
Il risultato del test è un valore di rischio di patologia fetale, considerato “basso” se inferiore a 1/350 o “alto” se superiore a 1/350.
In caso di risultato a “alto rischio”, dopo ulteriore controllo ecografico di secondo livello, la gestante può essere indirizzata verso una diagnosi prenatale invasiva.
In ogni caso si tratta di un calcolo del rischio presunto ed in nessun caso con tale test si può conoscere la costituzione cromosomica del feto.
Il test inoltre non dà nessuna informazione riguardo le innumerevoli malattie genetiche causate da anomalia di un singolo gene (circa 6000 mila).
Secondo le più recenti linee guida della Fetal Medicine Foundation (FMF) è opportuno disgiungere il prelievo dall’ecografia, e dunque eseguire il dosaggio ormonale tra la 9° e la 10° settimana di gravidanza, mentre eseguire l’ecografia tra la 11° e la 12°. Questo consente di aumentare la sensibilità del test fino al 95-96%, se lo strumento utilizzato per il dosaggio ormonale, l’operatore che esegue l’ecografia e il software che esegue l’analisi sono certificati FMF, altrimenti il test ha una scarsa attendibilità.
VANTAGGI: essendo una tecnica non invasiva, azzera il rischio di perdita fetale. Ha un costo molto contenuto.
SVANTAGGI: scarsa sensibilità, soprattutto se eseguita in maniera non conforme (centri non accreditati FMF). Spesso, gestanti con feti normali vengono indirizzate alla diagnosi prenatale invasiva.
Diagnosi prenatale: analisi invasive
Celocentesi
La celocentesi è una metodica invasiva che viene eseguita intorno alla 8°-9° settimana di gravidanza in centri altamente specializzati (solo 2 in Italia), mediante la quale, per via vagino-cervicale, sotto guida ecografica, viene prelevata una piccola quantità di liquido celomatico dalla cavità celomatica embrionale.
Da questo liquido si estrae poi il DNA per le analisi genetiche del caso.
La tecnica ha un rischio di perdita fetale doppio rispetto alla villocentesi, quantizzato in circa 1,5-2%.
Al momento sul DNA celomatico viene effettuata la diagnosi delle aneuploidie di 5 cromosomi (13, 18, 21, X, y) e la diagnosi di soggetto malato di talassemia (anemia mediterranea), ma virtualmente la tecnica è applicabile a tutte le malattie genetiche.
Il rischio elevato di perdita fetale ne giustifica l’utilizzo solo in presenza di coppie con malattia genetica nota trasmissibile alla prole.
Esiste infine un piccolo rischio di contaminazione materno-fetale che può inficiare il risultato dell’analisi, ma in generale l’attendibilità è molto alta (98-99%).
VANTAGGI: precocità della diagnosi che, in caso di positività, consente un’interruzione di gravidanza molto precoce.
SVANTAGGI: tecnica eseguita solo in pochissimi centri al mondo; rischio di perdita fetale più elevato.
Villocentesi
La villocentesi è una metodica invasiva che viene eseguita intorno alla 10°-13° settimana di gravidanza, mediante la quale, per via transaddominale, sotto guida ecografica, viene prelevata una piccola quantità di villi coriali, ovvero la parte embrionale della placenta, dai quali poi viene effettuata l’analisi del cariotipo e, se richiesto, anche l’analisi molecolare per specifica malattia genetica.
La tecnica ha un rischio di perdita fetale stimato intorno al 1%.
Per l’analisi standard del cariotipo i villi vengono sia analizzati direttamente (analisi diretta, con referto in 5 giorni) che messi in coltura (coltura a lungo termine, con referto in 20 giorni). Molti centri che offrono la villocentesi affiancano ad essa la QF-PCR (vedi sotto) con referto in 2 giorni. E’ sempre opportuno affiancare all’analisi dei villi coriali l’esclusione di contaminazione materna, che si esegue prelevando dalla madre, nello stesso momento in cui si esegue la villocentesi, una piccola quantità di mucosa buccale.
Amniocentesi
L’amniocentesi è una metodica invasiva che viene eseguita intorno alla 16° settimana di gestazione mediante la quale, per via trans addominale, sotto guida ecografica, viene prelevata una piccola quantità di liquido amniotico, sul quale viene effettuata l’analisi del cariotipo e, se richiesto, anche l’analisi molecolare per specifica malattia genetica. La tecnica ha un rischio di perdita fetale stimato intorno allo 0,5%. Per l’analisi standard del cariotipo gli amniociti (cellule del liquido amniotico) vengono messe in coltura e analizzate dopo almeno 2 settimane (referto in 20 giorni). Molti centri che offrono l’amniocentesi affiancano ad essa la QF-PCR (vedi sotto) con referto in 2 giorni.
Cordocentesi
Si tratta di una metodica invasiva che viene eseguita, solo per indicazione specifica, intorno alla 18°-20° settimana di gestazione mediante la quale, per via trans addominale, sotto guida ecografica, viene prelevata una piccola quantità di sangue fetale dai vasi del cordone ombelicale, sul quale vengono effettuate le specifiche analisi di conferma che hanno richiesto il ricorso a questa tecnica.
La tecnica ha un rischio di perdita fetale stimato intorno all’1% se la procedura viene effettuata dopo le 20 – 22 settimane, mentre è più rischiosa se si interviene a 16-18 settimane.
Non tutti i centri eseguono tale procedura poiché richiede grande esperienza e manualità per minimizzare i rischi.
Sul sangue fetale è possibile eseguire le stesse analisi dell’età post-natale, inclusi gli esami infettivologici.
Suggerimenti in caso di diagnosi prenatale invasiva
In caso di procedura invasiva è ormai diventato di routine prescrivere una breve terapia antibiotica di 3 giorni da assumere in concomitanza con il prelievo, al fine di ridurre drasticamente il rischio di infezioni fetali iatrogene (causate dalla procedura).
L’antibiotico prescritto non causa danni allo sviluppo fetale, per cui è buona norma assicurarsi che il ginecologo che effettua la procedura lo prescriva.
Infine, è opportuno accertarsi che la procedura di diagnosi invasiva venga eseguita in sala operatoria o comunque in un ambiente sterile, con l’utilizzo esclusivo di materiale monouso sterile, al fine di ridurre al minimo il rischio infettivo.
E’ buona norma che, dopo una procedura invasiva, la gestante rimanga a riposo semi-seduta per almeno un’ora e che prima di essere dimessa venga effettuata un’ecografia di controllo per verificare il buono stato di salute del feto e della placenta.
Tecniche di laboratorio nella diagnosi prenatale
Le principali tecniche utilizzate per la diagnosi prenatale sono:
- Cariotipo standard
- QF-PCR
- CGH-ARRAY
- Analisi malattie monogeniche
Cariotipo standard
L’analisi del cariotipo (o anche detta mappa cromosomica) consente di visualizzare dal punto di vista numerico, morfologico e strutturale i 46 cromosomi. L’analisi si esegue sia villi coriali che su amniociti, e può essere sia diretta, provvisoria (mediante l’analisi di cellule analizzabili presenti nel campione a fresco; tempo di refertazione 3-5 giorni), che dopo coltura a lungo termine (possibilità di conta molte cellule, con certezza del risultato conclusivo; tempo di refertazione medio 21 giorni).
Questa analisi consente di visualizzare grossolane alterazioni dei cromosomi (di numero e di struttura) ma non le alterazioni piccole (piccole delezioni o duplicazioni) ne tantomeno le anomalie dei singoli geni.
QF-PCR
L’analisi eseguita mediante tecnica di PCR quantitativa fluorescente (QF-PCR), ovvero l’analisi dei 5 cromosomi (13, 18, 21, X, Y) maggiormente coinvolti nelle anomalie cromosomiche da età materna avanzata, può essere eseguita sia su villi coriali che su amniocentesi, ed in genere viene proposta in abbinamento alla tecnica standard, per fornire rapidamente (in 2 giorni) un risultato parziale seguito poi da quello definitivo dopo 21 giorni. La tecnica da informazioni grossolane solo sul numero dei 5 cromosomi analizzati e nessuna informazione riguardo le anomalie di struttura, le anomalie di numero dei altri 18 cromosomi, le piccole delezioni o duplicazioni ne tantomeno le anomalie dei singoli geni.
CGH-ARRAY
L’analisi in CGH-array consente di eseguire un cariotipo molecolare completo in 3 giorni, sia su villi che su amniociti, con una definizione circa 100 volte superiore ad cariotipo standard. Il referto è conclusivo. Esistono tre tipi di CGH-array (BAC, Oligo e SNP) che hanno definizione e precisione crescente (da BAC, meno dettagliato, a SNP molto dettagliato). Consente di individuare le alterazioni cromosomiche di numero e di struttura (sbilanciate, e dunque patologiche) e le piccole delezioni e duplicazioni (un centinaio delle quali coinvolte in sindromi genetiche malformative o con ritardo psicomotorio).
Non individua le traslocazioni bilanciate (non patologiche nel 99,5% dei casi) e le anomali dei singoli geni. La tecnica è altamente consigliata in caso di sospetta anomalia ecografica.
Analisi malattie monogeniche
Sia su villi coriali che su amniociti è possibile eseguire, in genere tramite sequenziamento diretto (se la mutazione causativa è nota) o analisi dell’aplotipo familiare (se si conosce la regione cromosomica coinvolta ma non il gene-malattia), l’analisi di singole malattie monogeniche. La procedura corretta prevede che tali analisi vengano eseguite su indicazione specifica (malattia familiare, status di portatore dei genitori, sospetto ecografico preciso) dopo aver caratterizzato i genitori dal punto di vista molecolare in epoca pre-natale.
L’analisi di “screening” (senza indicazione specifica) di poche malattie genetiche in epoca prenatale non ha alcun senso, dal momento che le malattie genetiche sono circa 6500 e l’esclusione di una decina di esse non modifica il rischio di malattia genetica fetale.
Daniela Zuccarello, Medico genetista
In collaborazione con www.generapreimpianto.it(Centro diagnosi preimpianto) e con il Poliambulatorio San Gaetano Thiene (VI)