Negli ultimi anni più di una dozzina di bambini sono nati in Svezia, Stati Uniti e in Serbia grazie a uteri donati e trapiantati da una parente in vita (spesso la donazione avviene da parte della madre della donna), ma è la prima volta che un bambino nasce da un utero donato da una paziente deceduta.
L’evento è avvenuto all’ospedale dell’ università di São Paulo School of Medicine in Brasile.
Nel mondo le donne che hanno un problema di fertilità legato all’utero sono meno del 5%. Si tratta di donne che hanno alterazioni strutturali dell’utero che interferiscono con la capacità di concepire e portare avanti la gravidanza.
Il team brasiliano, il cui studio è stato pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Lancet, ha seguito i protocolli stabiliti dal Dr. Mats Brännström e dal suo team dell’Università di Göteborg, in Svezia, dove è avvenuto nel 2013 il primo trapianto di utero, quello da donatrice vivente, che ha portato a una gravidanza a termine nel 2014.
Dal trapianto di utero alla gravidanza
La donna in cui è stato trapiantato l’organo, al tempo dell’intervento aveva 32 anni ed era nata senza utero per la sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser (MRKH), che colpisce una donna su 4500.
Questa malattia congenita è caratterizzata da aplasia (mancanza) dell’utero e della porzione superiore (2/3) della vagina ma con uno sviluppo normale dei caratteri sessuali secondari e un cariotipo normale 46, XX. Le ovaie della donna erano normali e funzionanti e mesi prima di ricevere il trapianto di utero, si era sottoposta alla fecondazione in vitro. Le erano stati prelevati degli ovociti, che sono stati fecondati in vitro ottenendo o otto embrioni di buona morfologia che sono stati crioconservati nella speranza di essere utilizzati dopo il trapianto di utero.
La donatrice, una donna di 45 anni deceduta a causa di un ictus, è stata scelta in quanto aveva avuto tre parti vaginali durante la sua vita, non aveva riportato alcuna malattia sessuale e il suo gruppo sanguigno, O-positivo, corrispondeva a quello della ricevente.
La procedura per trasferire l’utero dalla donatrice alla ricevente è durata più di 10 ore, tempo in cui si sono collegate vene, arterie, legamenti, e il canale vaginale con l’utero donato. La paziente è rimasta in ospedale per otto giorni e ha ricevuto cinque farmaci immunosoppressori, per tenere a freno l’istinto naturale del corpo di combattere e rifiutare un organo trapiantato.
Cinque mesi dopo il trapianto, per la prima volta nella sua vita, la donna trapiantata ha sperimentato le mestruazioni.
Dopo sette mesi di osservazioni i medici hanno impiantato un singolo ovulo fecondato, anche se in precedenti trapianti di utero, i medici avevano aspettato un anno intero prima dell’impianto. Il tempo di attesa più breve mirava a ridurre il rischio di rigetto, poiché la possibilità che il corpo rifiuti un organo può aumentare nel tempo.La gravidanza è stata confermata 10 giorni dopo. Durante la gravidanza, tutti i controlli effettuati hanno mostrato un feto normale senza anomalie.
A parte l’infezione renale trattata con antibiotici a 32 settimane, la madre non ha avuto problemi durante la gravidanza e ha continuato il suo regime di immunosoppressione per prevenire il rigetto dell’utero impiantato.
A 35 settimane + 3 giorni, il 15 dicembre 2017, è nata una bambina di circa 2,7 Kg.
Il gruppo di Brännström raccomanda un parto tra 34 e 36 settimane per il rischio di restrizione della crescita fetale a causa della terapia di immunosoppressori.
La bambina è nata con un taglio cesareo e durante l’intervento è stato rimosso l’utero trapiantato in modo che la madre potesse smettere di usare farmaci immunosoppressori. La madre la figlia sono state dimesse dall’ospedale tre giorni dopo e la bambina festeggerà il suo primo compleanno il 15 dicembre 2018. Nel frattempo nessuna delle due ha avuto complicazioni.
Le implicazioni future
Secondo il dott. Andrew Shennan, professore di ostetricia al Kings College di Londra, l’unicità di questo caso è data dal fatto che è che la gravidanza si è verificata “nonostante l’utero fosse rimasto senza ossigeno per 8 ore prima del trapianto“. Il nuovo studio infatti dimostra che questo organo potrebbe rimanere funzionale dopo una conservazione a freddo, senza ossigeno almeno quattro volte di più del tempo medio impiegato dopo la donazione dal vivo: quasi otto ore, contro meno di due.
Secondo Shennan questo caso apre alla possibilità che le donne donino il loro utero dopo la morte, come fanno con molti altri organi. Le donne che sono sterili a causa della sterilità da fattori uterini potrebbero quindi presto avere un’altra opzione oltre alla donazione da vivi, alla maternità surrogata o all’adozione.
Riferimenti:
Portale malattie rare: www.orpha.net
Dani Ejzenberg, Wellington Andraus, Luana Regina Baratelli Carelli Mendes, Liliana Ducatti, Alice Song, Ryan Tanigawa, et al., Livebirth after uterus transplantation from a deceased donor in a recipient with uterine infertility, Published:December 04, 2018DOI:https://doi.org/10.1016/S0140-6736(18)31766-5